Castelvecchio è il “paese dell’anima” come Sotto il Monte lo era per papa Giovanni XXIII. Non castelli, non palazzi nobili da visitare, ma abitazioni semplici e dignitose, l’accoglienza e l’ospitalità è nei cromosomi della gente. Provate a visitare a piedi il paese: a incunearvi nelle anguste strade, quasi in un caldo abbraccio, potrete spaziare a 954 metri di altezza con la vista tutt’intorno alla ricerca dell’infinito. Le 90 persone che vivono nella frazione sono per lo più anziani. Le forze lavorative sono a Roma e durante il periodo estivo (il boom delle presenze sì registra nel mese di agosto con 600 persone) fanno ritorno a Castelvecchio per respirare l’aria natia e per “sentire di nuovo i piedi sulla terra”
C’è un episodio in “Vino e pane” di Ignazio Silone (lo scrittore italiano, nato a Pescina, più noto all’estero che in patria, del quale il 22 agosto ricorre il XX anniversario della morte) che spiga bene cosa vuol dire rientrare, fare ritorno nel paese dove si è nati. La domanda del dottor Nunzio Sacca “Perché sei tornato in questo paesaccio”?”, Pietro Spina rivoluzionario che sognava un mondo migliore risponde al suo antico compagno di studi rientrato per riprendere aria. Avevo veramente bisogno di sentire di nuovo i piedi sulla terra”. Così tutti noi ci sentiamo quando facciamo ritorno al paese natio.
Anche Castelvecchio è menzionato, insieme a Sante Marie, nella bolla di Clemente III del 1188 dove è riportato il contributo di 6 coppe di grano della chiesa “Sancti Martini in Castello Vetulo” al Vescovado. Nelle visite pastorali che il Vescovo della Marsica effettuava nelle sue parrocchie, risulta che nel 1709 erano parroci della chiesa di San Martino don Antonio Ambrosio e don Andrea Corderi. Un’altra visita di un Vescovo dei Marsi ebbe luogo il 23 giugno 1722. Nel 1760 Castelvecchio poteva contare per il suo esiguo numero di abitanti soltanto un massaro, che era Carlo Antonio Di Francesco assistito dal cancelliere Gian Filippo Berardinetti. Nel 1871 Castelvecchio contava 240 abitanti ed aveva una sola chiesa dedicata a San Martino. Cento anni dopo, nel 1971, la popolazione è scesa a 188 abitanti.
La storia Siamo nella “Marsica”, “in finibus Aprutii”, in quella sub-regione del già “Abruzzo Ulteriore II” che si estende per circa 2000 km², intorno all’antico lago Fucino ormai piana, bacino prosciugato nel ventennio1855 -1877 da Alessandro Raffaele Torlonia; che ha come confini naturali, a nord l’Aquilano, a sud la Ciociaria, a est la valle Peligna e a ovest la catena dei monti Simbruini e l’alta valle dell’Aniene. Più precisamente a Castelvecchio (42° 7′ 44” N – 13° 12′ 6.1” E, “954 m slm”), una delle attuali frazioni del comune di Sante Marie, distante dal capoluogo in linea d’aria 3 km e rispettivamente 6,2 km percorrendo la SS5/Quater e 7,8 km sulla SP89). Territorio di confine tra gli altri, prima delle popolazioni Eque e Marse (304 a.C. – 149 d.C.) tramite le colonie di Carseoli e Alba Fucens, poi tra lo Stato Pontificio e il Regno delle Due Sicilie (XVII secolo), ancora crocevia ufficiosa di sentieri, dei “briganti” filoborbonici (seconda metà dell’800).
Del vecchio castello situato in località Colle Castello, “Jo Casteglio”, costruzione molto probabilmente di origine Equa e Marsa, come Oppida, e poi “incastellata” fino almeno al 1268, anno in cui stando alle cronache, vi soggiornò Corradino di Svevia in fuga dopo la Battaglia di Tagliacozzo (più propriamente dei Piani Palentini – 23 agosto 1268), non rimangono che poche tracce quasi più riconoscibili sull’attuale piano di calpestio del colle. “Del fortilizio apicale, posto a NE dell’odierno paese su un’altura all’imbocco della Val de’ Varri, intorno alla sommità del colle, è visibile un gradone artificiale di altezza variabile, in costante erosione, con un andamento planimetrico irregolare che adeguandosi all’orografia, si estende per circa 0,6 ettari. Si conservano tutt’intorno per una altezza di qualche decina di centimetri pochissimi resti, costituiti da pietre arenacee a secco. Alcuni di questi potrebbero tuttavia essere semplici muretti divisori o di contenimento innalzati in tempi recenti dagli agricoltori. Verosimilmente la parete di terra del gradone perimetrale era contenuta da una palizzata, questo spiegherebbe l’assenza di altri resti murari, sia pure sparsi, nel terreno circostante. Sul margine orientale del piccolo pianoro sommitale si trova un cumulo di macerie, con pezzi di arenaria e qualche laterizio, residui del crollo di un edificio in muratura. Subito a fianco, verso ovest, a una quota lievemente più bassa della vetta (circa un metro e mezzo), si riconosce un’area pianeggiante larga poco più di sei metri, caratterizzata da una vegetazione erbacea meno rigogliosa di quella intorno, che sembra restituire l’impronta di un fabbricato. Il fortilizio dominava la sottostante Val Macina e l’imbocco della Val de Varri, controllando anche il vicino monastero di San Giovanni in Barri, nelle vicinanze del quale nel medioevo era forse cresciuto un piccolo villaggio”
La chiesa patronale, posta sulla sommità centrale che domina l’abitato, ha pianta rettangolare con sagrestia sul retro, campanile sul fianco destro, costruito a filo della facciata. Nel campanile si possono ammirare un orologio pubblico e tre campane bronzee, la più antica detta di S. Angelo, del 1351, un’altra del 1891 e l’ultima in ordine di tempo del 1949, date riprodotte in rilievo sulle stesse. Per quanto riguarda la campana di S. Angelo, si racconta che dei pastori delle comunità di Santo Stefano e Castelvecchio la ritrovarono insieme a due statuette, presumibilmente in terracotta, nella zona limitrofa a quella del Monte Sant’Angelo, nei pressi di un monastero.
Si decise quindi di dividere i ritrovamenti tra i due paesi: le statuine a Santo Stefano e la campana a Castelvecchio. Sui rintocchi della campana si tramandano di generazione in generazione tre tradizioni secondo cui: Ad ogni suo rintocco le statuine vi tornavano accanto, nonostante gli innumerevoli “viaggi” che queste compivano tra i due paesi, venendo prontamente richieste dall’altra comunità. Stesso legame si ritrova tra la statua di “S. Angelo”, statua lignea che si fa risalire alla medesima zona e che era contesa tra le comunità di Castelvecchio e Valdevarri. L’ultimo racconto ruota intorno alla forza dei suoi rintocchi che con le loro vibrazioni riuscivano a tener lontano i temporali ritenuti più pericolosi per il raccolto. Se ad oggi la campana e la statua lignea di S. Angelo sono ancora a Castelvecchio, le già citate statuine, che furono ad un certo punto custodite anch’esse qui e vi rimasero fino agli anni ’70, cambiarono ubicazione dopo una stima archeologico/valorica. Ubicazione a tutt’oggi sconosciuta.
(tratto dal libro “Sante Marie frazioni e territorio”)
Si trova nella Riserva Naturale delle Grotte di Luppa. In un luogo che permette ai visitatori di ammirare tutto il territorio. Presso l’ufficio della Riserva è possibile ottenere tutte le informazioni dettagliate per raggiungere la grande panchina.
Il Big Bench Community Project (BBCP) è un’iniziativa ideata dall’artista Chris Bangle, che consiste nell’installazione di grandi panchine in varie località panoramiche.
É possibile acquistare il proprio Passaporto Ufficiale del “Big Bench Community Project” presso l’ufficio della Riserva. Ciò ti permetterà di iniziare subito a collezionare i timbri delle panchine visitate.
Un territorio di montagna incantevole, costellato di pittoreschi borghi, sentieri panoramici e ciclabili immerse nella natura.